Uno dei pregi del cinema francese è quello di portare sullo schermo situazioni e personaggi presenti nella vita reale, ma poco raccontati sul grande schermo. E’ il caso de Il medico di campagna, quarto lungometraggio del regista Thomas Lilti.
La vicenda ha un andamento semplice che riecheggia le molte storie di un rapporto all’inizio difficile fra due personaggi che man mano di evolve sino a trasformarsi in amicizia o, nel caso i due siano di sesso diverso, in una storia d’amore. Al dottore, vecchia maniera, Jean-Pierre Werner è diagnosticato un tumore inoperabile al cervello che potrà essere alleviato solo con la chemioterapia, prima, e con un mix di chemio e radiologia, poi. La sua condizione non gli consente più di lavorare con i ritmi di sempre (iniziava a visitare nella fattorie alle sette del mattino e continuava in studio nel pomeriggio fino a notte inoltrata) per cui deve trovarsi un aiuto. Gli si presenta una donna, ex – infermiera laureata in medicina da poco, che lui tratta burberamente, sino al momento in cui ne scopre sia la professionalità sia l’umanità. Il film sviluppa una sorta di ode al medico di un tempo, quello che ascoltava i pazienti, si appassionava alle loro storie, lavorava senza contare le ore, era sempre disponibile. Il suo opposto è l’ambente dell’ospedale asettico e impersonale. Una contrapposizione un po’ manichea e non priva di eccessive semplificazioni, ma che individua un problema reale. Il film approda a un finale troppo consolatorio (la remissione della malattia e la pacificazione fra i due medici, forse foriera di una possibile vicenda sentimentale) e questo compromette non poco il bilancio dell’opera.