30 Giugno 2015
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50mo Karlovy Vary International Film Festival |
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Bob and the Trees (Bob e gli alberi) è l’opera prima di Diego Ongaro che racconta, con taglio documentaristico, la vita di Bob Tarasuk – l’interprete è lo stesso personaggio di cui parla il film - che vive in una zona boschiva dell’America profonda allevando bestiame e tagliando alberi. La sua è una vita dura, immersa nel gelo dell’inverno, lontana dai centri abitati, un’esistenza che costringe a svegliarsi all’alba, a dure fatiche nei boschi con il rischio continuo di essere colpiti dalla caduta degli alberi che si stanno tagliando. Il film nasce da un cortometraggio che il regista ha dedicato al personaggio. Come già detto l'impostazione è assai vicina a quella di un documentario, con tempi narrativi volutamente lenti e con la caratteristica di un’esistenza che scorre senza colpi di scena o eventi mirabolanti. Un approccio normale che rende sorprendenti piccole cose di ogni giorno come la scoperta di alcune colonie d’insetti che hanno infettato gli alberi o il ferimento di un bovino con il bullone che spunta dalla mangiatoia in cui si alimenta e che gli causa una ferita che costringerà il contadino ad abbatterlo in una delle sequenze più commuoventi del film. In altre parole un’opera piccola e ordinaria che, in alcune sequenze, riesce a trasformare in toccante emozione la vita di tutti i giorni.
Ben diverso Guldkysten (Costa d’oro) opera d’esordio del danese Daniel Denik che ricostruisce il dramma della schiavitù in una colonia africana del suo paese. Siamo nel 1830 e la Danimarca ha abolito da anni il commercio degli schiavi anche se funzionari poco coscienziosi continuano a consentirlo, traendone lauti benefici personali, lontano dagli occhi del governo centrale. Ad essi si oppone un giovane agronomo arrivato nella Guinea Danese per sperimentare le possibilità di sopravvivenza di una piantagione realizzata con mezzi e sistemi moderni. La sua ribellione, sorretta dal governatore che dirige la colonia al suo arrivo, porta frutti anche in termini di miglioramento della coscienza dei nei, ma naufraga quando, morto il primo inviato del Re, gli succede un giovane intrallazzatore che non ha alcuna intenzione di scontrarsi con i mercanti di esseri umani. La lotta vedrà soccombere il coraggioso giovane falciato, oltre che dalle vessazioni del nuovo governatore anche dalle malattie tropicali. Il suo funerale, organizzato proprio da una tribù nera, avrà il carattere di un rito vichingo a simboleggiare la continuità fra l’eroismo dei padri e quello dei giovani. Il film ha tratti e prevedibilità tipiche di un film storico con tanto di tesi umanitaria in bell’evidenza. Unico dato di una certa originalità la denuncia a quasi due secoli di distanza, della complicità danese in questo commercio infame.
(U.R.)
Ben riuscito adattamento cinematografico della commedia omonima, Między nami dobrze jest (Non importa quanto duramente si è cercato), scritta dalla trentatreenne Dorota Maslowska, è diretto da Grzegorz Jazryna, uno dei nomi più interessanti del teatro polacco contemporaneo. E’ una pièce ricca di trovate, soprattutto per quanto riguarda la messa in scena. La madre, la figlia, la nonna e altri personaggi si fondono in una stanza in cui si parla incessantemente, forse anche senza dire davvero qualcosa. I loro monologhi raramente diventano un dialogo, ma nel loro insieme creano un sottofondo sonoro assurdamente umoristico e satirico che racconta della Polonia contemporanea, non un bel posto in cui vivere. I principali protagonisti rappresentano tre generazioni di donne che vivono insieme sotto il livello minimo della povertà in un angusto monolocale di Varsavia: sono la nonna particolarmente grintosa sulla sedia a rotelle, la figlia e la nipote dall’aspetto dark. La panoramica dei personaggi è completata dai loro vicini: un distributore di volantini e un regista molto intellettuale che ha firmato un'opere intitolata Horse that rode horseback (Il cavallo che ha guidato a cavallo). Oltre a questi attori, ci sonbo un presentatore televisivo e una ragazza che vuole salvare tutte le persone da lei ritenute povere e reiette. Una storia piena di dialoghi grotteschi con citazioni della cultura pop e un beffardo linguaggio preso pari pari dalla pubblicità e dagli stereotipi nazionali. L’ambientazione è in Polonia, durante il 1989. Il regista ha costruito un’unica scena, un cubo bianco in cui al interno sono le tre protagoniste, ma che si apre sui personaggi disegnando porte o quant’altro che li collega al mondo gli altri interpreti. Quarantasettenne nato nella colta Cracovia è regista teatrale, drammaturgo, librettista, autore di musica per le proprie performance. Dal 1998, direttore artistico di TR Warszawa (ex Teatro Varietà), dal 2006 ne è amministratore delegato. Culturalmente cresciuto in questa città, ha messo in scena oltre cinquanta spettacoli, da Shakespeare al teatro off, con inviti in oltre trenta Festival tra cui quello di Edimburgo. E’ al suo debutto nella regia cinematografica, anche se è difficile chiamare cinema la perfetta trasposizione di uno spettacolo teatrale.
A Szerdai gyerek (Il ragazzo del Mercoledì) della regista ungherese Lili Horváth è sicuramente opera più convenzionale ma non per questo meno interessante. La storia alle volte si ripete. Quando aveva nove anni, Maja è stato abbandonata dalla madre e messa in un orfanotrofio. Sono passati dieci anni e lei continua a tornare nell’istituto per fare visita al proprio figlio di quattro anni. Sarà capace di prendere il controllo della sua vita, nonostante le circostanze sfavorevoli e le proprie tendenze autodistruttive? E’ la storia quasi eroica di una ragazza che dimostra meno della sua età ma che ha la grinta di una madre che lotta per veder riconosciuta la sua maternità, poiché le è negata la possibilità di stare col suo bambino dato che non è autosufficiente e, probabilmente, nemmeno matura. Vive in una casa protetta dove gli operatori cercano di aiutare i loro ospiti affinché possano trovare un nuovo futuro. Sulle indicazioni di un progetto finanziato dal governo, aiutano una ragazza ad aprire un Internet Caffè, e danno una mano a lei per trovare il denaro necessario ad avviare una piccola lavanderia. Tutto andrebbe per il meglio se lei non fosse ancora innamorata dello sbandato padre naturale del figlio, se non subisse ritorsioni che provocano la completa distruzione del piccolo laboratorio. Nonostante tutto questo il desiderio di avere con se il figlio e l’aiuto di altri ex residenti della casa farà un piccolo miracolo. Bori è il suo tutor, un uomo divorziato che vive per le sue donne ma che è innamorato della ragazza che, vedendo in lui un padre ideale per il bimbo, lo lascia sperare. Qualche caduta di ritmo e di interesse sono presenti anche per la coesistenza tra attori dilettanti e professionisti: Lili Horváth non ha ancora mestiere e propone alcuni personaggi poco credibili poiché molti interpreti non sono in grado di recitare in maniera convincente. Detto questo, è comunque opera interessante che fa sperare per il futuro di questa giovanissima regista.
(F.F.)
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