Da qualche tempo il cinema cileno si sta affermando quale fucina di attente analisi psicologiche, dietro alle quali spesso s’intravvedono importanti temi sociali. E’ il caso di Pablo Larrain (Tony Manero, 2008 - Post Mortem, 2010) che compare in veste di produttore di questo Gloria diretto dal suo concittadino Sebastián Lelio.
La protagonista del titolo è una cinquantottenne ancora piacente, divorziata con un figlio e una figlia già adulti, impiegata di buon livello. Nonostante i sintomi dell’età e la solitudine, la donna rifiuta di mettersi in disarmo, frequenta discoteche alla ricerca di una relazione, possibilmente stabile anche se non rifiuta gli incontri occasionali. Crede di aver risolto i suoi problemi quando incontra un coetaneo divorziato con figlie, ma deve presto ricredersi visto che l’uomo, più che a lei, pensa alle rampolle. Riesce a fargli conoscere la sua famiglia nel giorno del compleanno del figlio maggiore ma lui se la batte all’inglese a metà della serata. Accetta, come riparazione, un fine settimana di sesso e mare a Viña del Mar ma lui la molla in camera per correre ad aiutare l’ex moglie che ha avuto un incidente. E’ veramente troppo e lei si vendica sparando a lui e alla casa in cui abitano figlie ed ex moglie con un mitra a pallottole di vernice. E’ il ritratto sofferto di una donna matura che non accetta d’invecchiare, una figura che cita decine di situazioni comuni a maschi e femmine. Se in questo film, quasi perfetto, si vuol proprio trovare un difetto esso sta nel finale troppo accomodante, con la protagonista Paulina García – premiata come miglior attrice all’ultimo Festival di Berlino - che accetta finalmente età e condizione. Il regista disegna un quadro psicologico vero e terribile e, nello stesso tempo, ci fa intravvedere il ritratto di una certa borghesia latinoamericana che si è gettata alle spalle, troppo frettolosamente, il ricordo della dittatura golpista.