L’influenza politica del colpo di stato cileno, organizzato da militari capeggiati dal generale Augusto Pinochet (1915 – 2006), dell’11 settembre 1973 fu forte per il nostro paese. Basti ricordare che la teoria del compromesso storico prese l’avvio da tre articoli (Imperialismo e coesistenza alla luce dei fatti cileni, Via democratica e violenza reazionaria, Alleanze sociali e schieramenti politici) a firma Enrico Berlinguer (1922 –1984) comparsi sul settimanale Rinascita e dedicati alla riflessione su quanto era successo in quel paese.
Bene ha fatto Nanni Moretti a ritornare a Santiago a più di quarant’anni di distanza per ripercorrere quei giorni. Lo ha fatto intervistando uomini di sinistra e militari golpisti, soprattutto mettendo in luce il contributo che l’ambasciata italiana, unica assieme a quella svedese, ha dato alla salvezza di decine di militanti ricercati dai militari e che riuscirono ad arrivare nel nostro paese dove trovarono lavoro e assistenza, in particolare in Emilia – Romagna. In quei giorni il giardino e l’edificio della nostra ambasciata, all’epoca retta da due giovani diplomatici che sostituivano il titolare, si trasformarono in una sorta di accampamento per centinaia di ricercatati. Il regista mette in risalto con sottile intelligenza le differenze fra quei comportamenti - il capo del governo era Mariano Rumor (1915 – 1990), il ministro degli esteri Aldo Moro (1916 – 1978) – e il clima odierno dominato dalla diffidenza e il razzismo nei confronti degli immigrati. Sembra si stia parlando di un altro paese, lontano anni luce da quello che conosciamo. Se questo è il primo elemento che emerge dal film, non minore importanza hanno il ricordo della violenza della repressione, supportata dal presidente americano Richard Nixon (1913 – 1994), dal segretario di stato statunitense Henry Kissinger (1923), e la ferocia con cui i golpisti colpirono un governo liberamente eletto: Salvator Allende (1908 – 1973) aveva vinto la contesa elettorale con il 36 per cento dei suffragi.