Éric-Emmanuel Schmitt (1960), belga di origini francesi, ha scritto Il visitatore (Le visiteur) nel 1993, il testo ebbe subito un grande successo e fu coronato, lo stesso anno, da ben tre Premi Molière: Rivelazione teatrale, Miglior autore, Miglior spettacolo di teatro privato. In Italia questo copione fu messo in scena nel 1996 da Antonio Calenda, interpreti principali Turi Ferro e Kim Rossi Stuart. Nuova edizione, poi, nel 2006, per iniziativa di Marco Predieri e Marcello Allegrini.
E’ ora la volta della versione di Valerio Binasco che cura regia e adattamento per una compagnia guidata da Alessandro Haber. La vicenda si colloca a Vienna in una notte del 1938, poco dopo l’annessione dell’Austria al Terzo Reich (Anschluss), e ha per sfondo l’appartamento di Berggasse 19 in cui abita Sigmund Freud con la figlia Anna. Lo scienziato, malato di cancro alla gola, è dubbioso se sottoscrivere o meno il documento in cui attesta di essere stato trattato bene dai nazisti, certificazione che permetterebbe a lui e ai famigliari di emigrare, prima in Svizzera poi a Londra. Nella notte in cui risuonano i canti trionfali delle truppe d’occupazione, il fondatore della psicanalisi moderna riceve due visite: un sottoufficiale delle SS in cerca di denaro facile e un misterioso individuo che dice di essere, o è, Dio. Con questo secondo ospite inizia un dialogo che coinvolge i maggiori temi dell’esistenza, dalla fede alla coerenza della morale, dalla razionalità alla religiosità. E’ un dialogo fitto e pesante da cui emerge la bravura degli attori, nel caso, oltre al protagonista, Alessio Boni, Nicoletta Robello Bracciforti e Alessandro Tedeschi. La chiave di lettura adottata dal regista, a differenza di quella usata a suo tempo da Antonio Calenda, è quella della fragilità umana, in particolare davanti alla malattia e alla vecchiaia. Ne nasce una proposta toccante in cui la complessità dei dialoghi è superata dal dolore e la malinconia.