Alan Bennet (1934) - ottantaduenne scrittore, drammaturgo, sceneggiatore e attore britannico – ha realizzato Il vizio dell'arte (The Habit of Art) nel 2009, ambientandola nella Oxford del 1973. Il testo ruota attorno all’immaginario incontro fra due grandi artisti omosessuali: il poeta Wystan Hugh Auden (1907 – 1973) e il compositore Edward Benjamin Britten (1913 – 1976).
L’incontro avviene a distanza di un quarto di secolo dalla loro collaborazione ne L’inno a Santa Cecilia (Hymn to St. Cecilia, 1942). Il copione lo immagina durante le prove, per conto del National Theatre, de Il Giorno di Calibano. Il musicista sta componendo Morte a Venezia (Der Tod in Venedig, 1912) dal romanzo breve di Thomas Mann (1875 – 1955) e il poeta crede che sia stato cercato dal vecchio amico per aiutarlo nella stesura del libretto. Le prove sono cadenzate dagli interventi degli altri attori, interruzioni che mettono in luce debolezze, vuoti di memoria, titubanze, paure. Le cose sono ulteriormente complicate dalla presenza dell’autore del copione e l'assenza del regista, sostituito dalla direttrice di scena. E’ uno spaccato di vita teatrale che svela le incertezze e i problemi dei due grandi creatori, facendoli scende dal piedistallo dell’arte e riportandoli a un livello di sofferta e dolorosa umanità. Un gioco teatrale che richiede una grande forza interpretativa e, in questo caso, Ferdinando Bruni ed Elio De Capitani offrono prestazioni eccellenti che danno un senso preciso al clima di un’epoca in cui l’omosessualità era fortemente sanzionata da un punto di vista della morale corrente e, sino a pochi anni prima, punita come un reato. Ne deriva una proposta di grande interesse sia per il valore degli interpreti sia da un punto di vista sociologico.