Film che nella costruzione ha avuto una vita particolare, con due coppie di sceneggiatori che scrivevano senza raffrontarsi su quanto creato. Mazarine Pingeot e Fanny Burdino, che spesso lavorano a quattro mani, facevano la prima versione che veniva inviata al regista il quale, assieme a Thomas Van Zuylen – di fatto co-sceneggiatore – apportava variazione e, a volte, riscriveva tutto.
Al momento della realizzazione effettiva, le prime due hanno lasciato che sul set operassero il regista Joachim Lafosse assieme al fido Thomas. Trattando di una coppia in crisi, l’idea era di vedere la stessa storia da due ottiche diverse, capendo le logiche che muovevano due persone, forse ancora innamorate, che non riescono neppure a vivere una serena separazione. Il risultato è inferiore alle aspettative e, per quanto possa valere, probabilmente l’apporto nel interpretare le colpe di ambedue volge a colpevolizzare fin troppo la donna, non difesa neppure dalla propria madre. In teoria, il dissidio tra i due è legato a semplici problemi di denaro (giustamente, in originale il film si intitolava L'économie du couple – L’economia della coppia) perché la ragione del contendere è l’appartamento in cui vivono, lei proprietaria ma lui, da buon architetto, abile nella ristrutturazione che ha fatto aumentare notevolmente il valore dell’immobile. Al momento della quantificazione di quanto spettante a ciascuno i due esprimono il peggio di se stessi, forse perché ai sentono traditi dal partner. Scopriamo che lei è ricca di famiglia e appartiene alla buona borghesia. Si intuisce che lavori, ma non si capisce cosa possa fare, particolare probabilmente poco interessante per gli autori. Di lui, invece, sappiamo fin troppo con una laurea guadagnata, bravo quando lavora ma cronicamente privo di committenti. E’ dolce con la ex, è un padre perfetto per le loro gemelline di dieci anni e vive ancora assieme a loro perché non ha mezzi di sostentamento. Lei fa di tutto per farsi odiare da chiunque, figlie e madre compresa, ma da parte degli sceneggiatori non si spiega come sia nata questa situazione che porta ad un disinnamoramento suo nei confronti del marito. Difficile parteggiare per uno o per l’altro, complesso mantenere alta la soglia dell’interesse in un film di dialoghi in cui, purtroppo, il desiderio di raccontare la vita diuturna di una famiglia seppure in crisi non riesce a coinvolgere più di tanto. Le bimbe giocano, litigano da sorelle che si vogliono bene, si fanno raccontare le fiabe dal babbo, fanno sport. Lei non ne azzecca una e diviene ancora più antipatica di quello che è all’inizio. Lui è un fallito gentile a cui la sceneggiatura perdona tutto. In questo tipo di costruzione poco rimane di realmente interessante. Dirige il belga Joachim Lafosse di cui in Italia è giunto Proprietà privata (Nue propriété, 2006) sempre basato su un divorzio, interpretano con scarso impegno Bérénice Bejo ed il regista Cédric Kahn qui alla sua sesta esperienza di attore cinematografico. Dopo 15 anni di vita in comune, Marie e Boris si stanno separando. La casa dove vivono con le loro due bambine è stata comprata da lei, ma lui l'ha interamente ristrutturata. Nonostante la fortissima tensione dovuta alla fine di uno storia d’amore, sono costretti a convivere perché il marito non lavora e non può permettersi un'altra sistemazione. Quando arriva la resa dei conti, nessuno dei due è disposto a mediare sul contributo che ritiene di aver dato alla vita coniugale, utilizzando la disputa per il valore dell’immobile come tramite per le loro vere e più indicibili divergenze.